lunedì 24 marzo 2008

Danza di morte - con Patrizia Milani, Paolo Bonacelli, Carlo Simoni

Una crisi matrimoniale in divenire, accecante, nauseabonda. Una solitudine appestata da dipendenze. Questa la collisione che si verifica puntualmente ogni sera in palcoscenico tra una coppia di coniugi matura che si vomita addosso ripicche e antichi rancori. Lo spettacolo Danza di morte è in scena in questi giorni al Teatro Morlacchi di Perugia prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano per la regia di Marco Bernardi. Il capolavoro di August Strindberg focalizza l'attenzione soprattutto sulla vita, sul matrimonio, sullo scontro titanico tra i sessi, su ateismo e religiosità, con un orizzonte che supera i confini angusti del naturalismo e della rappresentazione emblematica della vita per aprirsi a una prospettiva fondamentale per la poetica del maestro svedese di quei mesi: quella metafisica, mistica, rivolta a interrogarsi sul senso ultimo della vita e della morte con un presentimento di sublime, circolare rassegnazione, quest'ultima rievocata a più riprese nella scena realizzata da Gisbert Jaekel. Precursore di Bergman (Il posto delle fragole, Persona, Scene da un matrimonio, Fanny e Alexander) August Strindberg , con questo testo scritto nel 1900, grazie alla sua incomparabile sensibilità, porterà alla luce problematiche e inquietudini (vissute già in prima persona) che caratterizzano tutto il secolo passato e non solo. Famiglie già nate stanche. Indaffarate nel crepuscolo di ideali borghesi, si contemplano in torvi sgurdi, scorgendo lo squallore di scelte, dettate da non si sa chi. Rancore. Rabbia allo scoperto. Verso se stessi. Verso l'altro (da sé) e gli altri (da loro). Solitudine. Patrizia Milani, affascinante nella sua personalissima Alice, riesce a condensare e sintetizzare tutto questo. Sa far respirare il proprio personaggio mosso tra pensieri labirintici a volte illuminati a volte no. Paolo Bonacelli, invece, dà al suo Edgard un tono troppo uguale a se stesso, annullando interpretazioni che ogni pagina scritta sottintende, privandoci(si) del suo "mettersi in gioco".









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