lunedì 24 marzo 2008

La parola ai giurati-Dodici uomini arrabbiati - con Alessandro Gassman

Vi ricordate l'appassionante film Twelve Angry Man firmato dall'allora esordiente Sidney Lumet (Assassinio sull'Oriente Express, Quel pomeriggio di un giorno da cani), con l'indimenticata interpretazione di Henry Fonda? Ebbene, la compagnia del Teatro Stabile d'Abruzzo e la Società per attori, con il patrocinio di Amnesty International, è in scena in questi giorni al Teatro Morlacchi di Perugia con la versione teatrale diretta e interpretata da Alessandro Gassman, con il titolo di La parola ai giurati. Marrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Fabio Busssotti, Paolo Fosso, Nanni Candelari, Emanuele Sace, Massimo Lello, Emanuele Mariabasso, Giacomo Rosselli, Giulio Federico Janni completano il cast recitativo dando vita ad un insieme di lodevole vivacità com un brioso felice risultato di recitazione. Le scene sono curate da Gianluca Amodia, mentre i costumi da Heiga H. Williams. E' il 15 agosto del 1950 in una New York stretta nella morsa dell'afa e una giuria popolare composta da 12 uomini di diversa estrazione sociale, età e origini sono chiusi in camere di consiglio per decidere del destino di un ragazzo ispano-americano accusato di parricidio. Devono raggiungere l'unanimità per mandarlo a morte e tutti sembrano convinti della sua colpevolezza, ma l'ottavo giurato si dissocia dagli altri componenti. Da qui prende le mosse un confronto estenuante e serrato con cui a poco a poco si infrangerà il granitico muro delle convinzioni, irrigidite dall'orgoglio e dal pregiudizio. La pièce si chiuderà con l'assoluzione dell'imputato in virtù dell'impossibilità di pervenire ad una certezza priva di un ragionevole dubbio. Si tratta di un teledramma scritto da Reginald Rose ambientato nell'America conformista e razzista degli anni 50, ma che presenta tuttavia molti punti in comune con la nostra società attuale. Gassman in occasione di questa sua seconda regia (La forza dell'abitudine di Bernhard la prima), ha scelto un tema secolare, un dilemma discusso, romanzato, filmato e rappresentato migliaia di volte, che proprio in questi giorni è nuovamente ritornato al centro del dibattito politico, evitando tuttavia con sobrio talento di produrre un'infinita serie di banalità e di luoghi comuni. Il suo è un colpo vibrante contro l'allucinata follia della pena di morte, che si avvale del tarlo corrosivo del dubbio, in cui egli introduce con convincente arguzia nelle strutture che reggono ostinatamente le nostre certezze decretando un crollo lento e inesorabile. L'allestimento è articolato in un impianto scenico di impostazione fissa che ci proietta in un'atmosfera fumosa e claustrofobica e si dispiega tra percorsi dialettici caratterizzati da toni accesi, violenti e rancorosi che mettono bene in luce l'inadeguatezza di un verdetto umano offuscato dal pesante condizionamento dei sentimenti e dei pregiudizi. Ne è risultato uno spettacolo coinvolgente in cui il pubblico, a dispetto del lieto fine, si ritrova tra le mani spunti di profondità psicologica e richiami aspri alle radici incerte delle proprie convinzioni. Sopra di tutti, in questa rappresentazione, ci piace citare e ricordare Manrico Gammarota con il suo personaggio da "giudice popolare", che sotto le vesti arroganti e violente, porta con sé, fin dentro la camera di consiglio, la propria sconfitta e il proprio rancore, mai rimosso, di padre tradito. Il suo impulso condizionerà visuali e giudizi, sfociando, nel finale, in un pianto liberatorio.






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