mercoledì 11 febbraio 2009

Filumena Marturano con Lina Sastri e Luca De Filippo

Se Filumena non sa piangere è perché la miseria e la durezza del vivere raggelano. Icona degli umili, dei disperati, la più famosa popolana napoletana, viene sfruttata e costretta a rimuginare il suo passato, la povertà che l’ha generata, le umiliazioni che ha dovuto patire e con le quali si è fatta donna. Francesco Rosi mette in scena la commedia di Eduardo con rigore, consapevole della grandissima forza del testo, dell’intreccio che avvince, dei colpi di scena che emozionano. Purtroppo del suo lavoro rimarrà ben poca traccia. Il testo sa vivere di luce propria a dispetto delle scelte registiche. Luca De Filippo sarà per tutto lo spettacolo imbrigliato dentro il proprio personaggio. Fedelissimo al testo, non ne uscirà mai fuori. Neanche quando ci si aspettava uno scatto recitativo subito dopo la propria scoperta del neonato sentimento paterno. Il realismo poetico del mondo di Eduardo rivivono, invece, in Antonella Morea e Nicola di Pinto, caratteristi che, divertendo, tengono in pugno le file della trama. Sanno felicemente rendere concrete le loro gag, tutte napoletane, filosofeggiando intorno a una “tazzuriella de cafè”. La servitù, come i figli, beneficiano delle felici divagazioni di Eduardo. “Filumena Marturano” è un testo di intatta freschezza, estremamente attuale, coinvolgente, che ha la sua forza primaria di una donna che lotta per affermare la propria dignità di donna e madre. Lina Sastri, fa della sua Filumena una sorta di Medea che lotta per vincere non tanto sull'uomo che continua a umiliarla, ma per vincere la battaglia della vita. Varie volte, durante i suoi lunghi monologhi, ci affiorava alla mente, l’eroina del mondo classico. La Sastri, si esprime in un dialetto più chiuso e ostico, difficile da comprendere, in cui mette in evidenza la diversa condizione sociale, di questa Filumena. È il linguaggio che la differenzia, la rende passionale e reale. Monologhi che tutti, in scena e in sala, ascoltano in religioso silenzio. Come non essere vinti dai ricordi di quell’infanzia, quando su monito del padre, viene invitata ad andarsene. Filumena ci racconta il suo sentirsi addirittura attanagliata dai sensi di colpa, quando per fame, allungava la forchetta, nell’unico piatto messo al centro del tavolo, dove la famiglia si sfamava. La magia di Eduardo, a quasi venticinque anni dalla sua scomparsa non si esaurisce. Sentimenti e stati d’animo ottimamente tradotti anche nella suggestiva scenografia di Enrico Job, anch’egli, recentemente scomparso. Un interno di casa Soriano, rinchiuso in una gabbia a maglie intrecciate, dove le ragioni umane si incontrano e scontrano, osservate sullo sfondo, da una Napoli di età angioina. Questo il terreno impervio che Filumena combatterà, vincerà, per poi liberarsi in pianto. Applausi più e più volte incalzanti.




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