lunedì 26 gennaio 2009

Cosi è (se vi pare) per la regia di Massimo Castri

Siamo all’interno di una sala da ballo durante un carnevale anni Venti. Tra la musica alta, un chiacchiericcio di sottofondo, le coppie già alticce in sala che si tirano coriandoli d'argento e sfilano, come per presentare se stessi agli intervenuti, espongono, in conversazioni affannate e volutamente poco intelligibili, l’antefatto della commedia di “Così se (se vi pare)”. Ci si aguzza l’udito, ci si vorrebbe spostare, avvicinare, fino al punto di ritrovarsi là, dentro la sala da ballo, tra gli attori. Al centro del loro cicaleccio ci sono le oscure vicende dei coniugi Ponza e la Signora Frola.

Un ballo di burattini in carne e ossa e in abito da sera, eccentricamente mascherati, mettono in luce l’immagine cruda ma anche comica di una società allarmata dall’arrivo di un qualcosa o qualcuno che non si conosce.

Questo “Così è (se vi pare)” si distingue prima di tutto per la motivazione e la destinazione dello spettacolo che nasce da un corso di perfezionamento per giovani attori. Grazie alle capacità e all’entusiasmo degli interpreti, Massimo Castri, ha trovato l’habitat ideale per scavare fino in fondo le pagine del premio Nobel isolano.

Tutto un paese si affanna per sapere quale sia la verità intorno allo strano comportamento della famiglia Ponza. La curiosità nasce dal fatto che la sedicente madre della Signora Ponza, la Signora Frola, non vive con la figlia e il marito, anzi non entra neanche in casa loro, comunica con la figlia solo attraverso dei bigliettini scambiati per mezzo di un cestino calato dalla finestra. La scena si spacca in due. Da una parte il gruppo degli indagatori, dall’altra gli indagati. Ognuno con una propria “verità”; anzi, con all’interno di ciascuno gruppo, una miriade di sfaccettature che la rendono complessa, fino a farla diventare una “non-verità”.

Pirandello si era ispirato a un fatto di cronaca. Ma anche qui come in tutta la drammaturgia pirandelliana, l’oggettività è impossibile da conoscere e appare assai diversa a seconda del punto di vista. Con il risultato che il mistero da cui la storia ha preso l'avvio - la moglie del signor Ponza è la figlia della signora Frola, oppure un'altra? - resta sempre fitto. Anche e soprattutto quando, con quel gran colpo di teatro, appare la giovane donna, moglie di Ponza. I toni del grottesco, con i quali Castri ha giocato fino all’eccesso, servono forse per smascherare un qualcos’altro, più difficile da dirsi. Forse esiste un ménage à trois, addirittura incestuoso. Un argomento che verrà trattato in maniera più approfondita da Pirandello nel poco più in là, “Sei Personaggi in cerca d’autore”. Neanche alla fine, quando l'intervento del Prefetto impone la presenza della reclusa, la verità verrà fuori; o, meglio, ci si dovrà contentare dell'affermazione della signora Ponza, di essere contemporaneamente tutte le cose che sono state dette e nessuna. La verità non è nell'oggetto, ma nella percezione del medesimo.

Castri ci avvicina alle pagine di Pirandello senza scortarci, senza linee guida e ogni spettatore potrà reagire come meglio crede. Potrà, in totale libertà, tirar fuori dallo spettacolo ogni più personale interpretazione, non dimenticando mai però, che ogni verità, anche la più convincente, ne nasconde un’altra, più difficile da dirsi. Una libertà che sa tanto di solitudine.









Nessun commento: