sabato 10 gennaio 2009

Hedda Gabler - Elena Bucci, Marco Sgrosso

Un gioco al massacro. Un ambiente domestico allestito dalla confortante apparenza, di un salotto borghese. Nulla è mai vero fino in fondo, di quello che si dice. Sono i gesti, le ossessioni, le prevaricazioni a tradire le persone.

Hedda, figlia del generale Gabler, ha sposato Tesman, un mediocre intellettuale che aspira a una cattedra universitaria. È infastidita da se stessa, dalle sue scelte, dai suoi frivoli corteggiatori e da Thea, l’antica amica di collegio, divenuta la musa ispiratrice di Lovborg, intellettuale geniale e sfrontato, molto più interessante di suo marito. Si risarcisce solo quando potrà esercitare sadicamente un influsso perverso su Lovborg, suo vecchio spasimante, sottraendolo così all’amore angelico di Thea. Hedda è incinta. Ma neppure suo marito se ne accorge. Vive la sua gravidanza come un’ulteriore frustrazione esistenziale. Non c’è posto per la vita in questo salotto borghese. Forse neppure per la morte, se non praticata di nascosto, in un ultimo estremo atto di intimità. Sarà la notte (maschera madre per eccellenza), con il suo fare orgiastico, a svelarci la nudità dei nostri protagonisti. Al termine di una serata “brava”, Lovborg ha perso il suo eccezionale manoscritto che ha appena finito di comporre. Tesman l’ha ritrovato e vorrebbe restituirlo ma Hedda se ne impossessa. Inviterà poi il brillante ma disperato intellettuale a darsi una bella morte. Dopo di che brucia il manoscritto. Lovborg si è ucciso, ma Thea ha conservato gli appunti del manoscritto perduto. Tesman si sente in dovere, per la memoria dell’amico, di collaborare con Thea per ricostruire il capolavoro perduto. Hedda si ritira in una parte del salotto, dove sono raccolte le memorie di suo padre e si uccide.

Lo spazio scenico e il disegno luci di questo spettacolo riescono a fare propri la spietata sincerità del teatro: non c’è nessuno degli oggetti nominati, nessuna villa, nessun salotto. Ci sono solo sette sedie e disegnati a terra forme di quadrati che diventano labirinti. In questi, le nostre maschere si danno la caccia. Non c’è nessun personaggio positivo in questo dramma di Ibsen. Il Bene e il Male si adulano, si annusano, mettono in scena la loro danza orgiastica relegando gli esseri umani a semplici comparse. Marionette lasciate lì, nel buio del teatro.

Un gioco al massacro dicevamo. In cui il Teatro è il vero protagonista di questo spettacolo. Un Teatro che di mascherare e smascherare i suoi ospiti, se ne intende. Non ci rimane che stare al gioco.








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