Un interno familiare popolato da due coppie. Altrettanti accoglienti divani. Libri d’arte ben ordinati sul tavolo basso. Fiori freschi a fare da cornice. E poi tè, caffè e torta di frutta appena sfornata, da offrire agli ospiti. Ci sono tutti gli ingredienti per descrive al meglio, dal di dentro, le manie, le smanie e la condizione psicologica piccolo borghese, di un affresco famigliare.
Un’intelligente e attenta commedia di Yasmina Reza, una delle autrici francesi più rappresentate nel mondo, che con questo Il Dio della Carneficina, raccoglie e amplia un filone drammatico che ha visto e vede la famiglia (intesa nel suo significato più classico) al centro della scena, smascherandone il perbenismo austero di stampo borghese. Molte volte il teatro ha fatto proprio questo soggetto. Vengono subito in mente i testi, Chi ha paura di Virginia Woolf ? di Albee del 1962, Sabato, domenica e lunedì di De Filippo del 1959 e poi le opere di Ibsen, Strindberg, Cechov, per non parlare poi del cinema, con i suoi I pugni in tasca di Bellocchio del 1965, Family life di Loach del 1971, Gruppo di famiglia in un interno di Visconti del 1974, Scene da un matrimonio di Bergman del 1973 e così via.
L’originalità di questo testo della scrittrice di origine iraniana, sta nell’aver escluso dalla scena, i veri protagonista della commedia, i figli. Sentiamo parlare di loro soltanto attraverso i racconti dei rispettivi genitori. Ma i figli, non sono la realizzazione di una proiezione che i genitori hanno di loro? Non agiscono forse, soprattutto in tenera età, in base e per desiderio di uguagliare le sollecitazioni che gli provengono dal loro “esterno” più vicino? Allora di che stupirsi? Ma andiamo per ordine. Véronique e Michel Houillé (due favolosi Anna Bonaiuto e Silvio Orlando), genitori del
Il siparietto finale, con quel gesto isterico nel mettere a subbuglio il salotto e scaraventare in aria i fiori del decoro, ha tutti i tratti di un’invitante esortazione a reinventare e ripensare la famiglia. Dal principio. Già dal suo primitivo significato etimologico.
Una scena intelligente, quella realizzata da Gianni Carluccio, che inclinando verso la platea la base circolare, in cui è stato sistemato questo interno familiare, mette ancor più in bocca le risa e l’amaro retrogusto di questa commedia.
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