domenica 19 aprile 2009

ZoeTeatro in Malacorte

Dove vanno gli attori finito lo spettacolo? Rimangono intrappolati dentro i loro costumi o si affrettano a ricongiungersi ai profili affollati delle nostre città? E le maschere? I trucchi, cappelli, parrucche e abiti di scena, rimangono lì, nel buio della sala, in attesa che qualcuno torni a dargli un po’ di luce? O c’è uno spazio, un luogo, dove seguitano a guadagnarsi attenzioni e in un qualche modo, così facendo, continuano a vivere? Forse si. Forse da qualche parte qualcosa rimane. Una platea, partecipe del gioco teatrale, rimanda, durante lo spettacolo, tensioni, gioie angosce o consensi, finita la rappresentazione si sgretola inevitabilmente in mille particelle, mille persone, ognuna con una propria testimonianza, stato d’animo, sensazione. Questa, d’ora in poi, sarà quel frammento individuale con cui possiamo relazionarci all’infinito. Di certo personale, incompleto, in continuo movimento, dove le maschere reclamano ancora un po’ di spazio, sgambettano vivaci, dentro immagini e percezioni individuali che una volta sedimentate, creano opinione. Proprio di questo ci piace parlare dopo aver assistito alla rappresentazione della compagnia ZoeTeatro che ha presentato, il suo ultimo lavoro, Malacorte. Lo spettacolo, scritto, diretto e interpretato da Michele Bandini ed Emiliano Pergolani con la felice incursione di Claudio Bilotta, è prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria con il sostegno di ETI – Nuove Creatività. Continua così, dopo Quartetto d’ombre del 2005 e Metallo del 2006 la collaborazione dello Stabile umbro con la giovane compagnia folignate. Una conferma necessaria che proietta i due, Pergolani-Bandini, a veri e propri capofila dell’attività teatrale umbra. Se con i primi due lavori, la situazione sospesa, indefinita, serviva a catapultarli verso un al di là (Quartetto d’ombre), o a confrontarsi con una mitologia (Metallo) che a un al di là ne è stretta parente; qui il gioco è ben diverso. Paradossalmente più reale. C’è un Re (Michele Bandini), un Ministro (Emiliano Pergolani) e un Cuoco (Claudio Bilotta). Una corte che gioca al massacro. Liberatasi dal popolo, dai sudditi, alla quale non rimane che rinchiudersi dentro quattro mura e tirare a campare. E qui che entra in ballo il Teatro. Gioco assai perverso, che scaglia barlumi di vita, anche laddove non ce n'è più. Un Teatro che crea corto circuiti, chiamato a protagonista e innalzato a testimone, per ripercorrere una vita di corte, sbagliata, annoiata, alla quale non rimane che l’autodistruzione. Un gioco al potere che nasconde paure non affrontate, prevaricazioni sugli altri, vuoto d’intenti. Ottime le soluzioni sceniche e la funzionalità del disegno luci realizzato da Mirco Duvalloni che gioca a spegnere per gradi la luce e la vita dei tre. E così la morte dei protagonisti del finale, non è che il lieto fine, di modo di intendere il potere, di un secolo appena passato, che solo il Teatro, grazie alle sue finzioni, può smascherare. Questo un po’ il senso del cupo e grottesco Malacorte. Una lucidità che accompagna tutto lo spettacolo, dove la compagnia ZoeTeatro scova una a una le macerie di un secolo lasciato alle spalle tracciando una linea netta, uno zero assoluto, dal quale saranno i primi a dover ripartire. Un punto e a capo da dove improvvisamente le maschere di cui ignoravamo la sorte, trovano il loro modo di continuare a vivere, verso un altrove che ci sopravvivrà e ancora tutto da inseguire.

1 commento:

federico ha detto...

Dopo le convincenti prove di esordio ("Quartetto d'ombre" e "Metallo"), Zoe Teatro, in questo "Malacorte", sembra manifestare un momento di difficoltà creativa, rivelato essenzialmente da due aspetti :
la scelta del soggetto, ovvero l'archetipo/stereotipo della corte corrotta, simbolo di una corruzione più estesa, già ampiamente saccheggiato dal teatro novecentesco, qui non adeguatamente utilizzato per una lettura del tempo storico presente ma, piuttosto, avviluppato in un gioco teatrale "sterilizzato", fine a se stesso; in più, una a tratti evidente difficoltà di scrittura, i cui vuoti si riproducono anche sull'azione mimica e scenica. Complessivamente, quindi, un parziale passo falso, nel quale comunque si fanno notare alcune intuizioni valide come il trasformarsi di una classica melodia di sottofondo in vero e proprio "rumore di fondo" indefinito, feedback di una confusione di significati e messaggi la cui profusione si abbatte sullo spettatore così come, nella realtà, gli si abbatte contro l'innumerevole varietà di messaggi e sollecitazioni quotidiane prive di propria identità, se non quella propria del "rumore"; l'andamento in diminuendo progressivo delle luci di scena (si nota meglio su un palcoscenico teatrale vero e proprio) che via via va azzerando lo spazio dell'azione, e con esso il senso di ogni azione; e da ultimo, vero punto di forza, i monologhi in lingua, in particolare quello di Bandini (attore bravo, soprattutto), nei quali la difficoltà del testo si scioglie per farci assistere a veri lampi comunicativi.
Per il futuro, credo che sarà importante lavorare sulla scrittura (anche con la collaborazione di uno scrittore di testi) e cercare, nel modo creativo proprio della compagnia, una maggiore rappresentatività del complesso tempo che ci capita di vivere, fatta di intuizioni non solo e non semplicemente suggestive, ma scavate di più nel profondo.
E comunque, poichè stimo la compagnia, forza Zoe.